venerdì 19 settembre 2008

...continua...

Almeno l'Azienda sta correndo ai ripari...

http://magazine.excite.it/news/12155/Carrefour-telefona-alla-madre-del-bimbo-umiliato-

lunedì 15 settembre 2008

Nessuno tocchi i bambini:una storia vera...purtroppo!

Di seguito la lettera inviata alla Carrefour da una mamma di un bambino autistico umiliato e deriso da persone "normali" (mah...):

Alla CA. Gentile Direzione Carrefour di Assago

Mi chiamo Barbara e sono la mamma orgogliosa di un bambino autistico di quattro anni.

Nel Vostro sito, leggo della Vostra missione e soprattutto del Vostro impegno nel sociale.
“La nostra capacità di integrarci con il territorio in cui siamo presenti, di comunicare con le istituzioni locali e di sostenere progetti sociali e associazioni umanitarie si riscontra attraverso azioni concrete:

• Finanziamento della ricerca contro alcune malattie del XXI secolo
• Sostegno alla giornata nazionale indetta dal Banco Alimentare per la raccolta di generi alimentari
• Sostegno di iniziative umanitarie di vario tipo”

Lasciatemi dire che oggi nel punto vendita di Assago avete sfiorato la discriminazione punibile per legge.

Era previsto un evento che mio figlio aspettava con ansia: il tour delle auto a grandezza reale del film Cars.

Vestito di tutto punto con la sua maglietta di Cars, comprata DA VOI, oggi l’ho portato, emozionatissimo, ad Assago. Vista la posizione di Saetta, ci siamo avvicinati per fare una foto. Click, click, click, bimbo sorridente a lato della macchina. Avevate previsto un fotografo, sui sessant’anni, sembrava un rassicurante nonno con una digitale da 2000 euro, collegata a un pc dove un quarantacinquenne calvo digitalizzava un volantino carinissimo con le foto dei bimbi di fronte a Saetta, stampate all’interno della griglia di un finto giornale d’auto. Una copertina, insomma, che i bimbi chiedevano a gran voce e avrebbero poi incorniciato in una delle costose cornici in vendita nel Vostro reparto bricolage. Chiaramente, il mio biondino, che purtroppo per la sua malattia non parla (ancora), mi ha fatto capire a gesti che gli sarebbe piaciuto. Per quale ragione non farlo? Semplice, lo avrei capito dopo poco.

Attendo il turno di mio figlio, con estrema pazienza, e senza disturbare nessuno. Ci saranno stati una ventina di bambini, non di più. Non cento, una ventina.

Arriva il turno del mio piccolo, e non appena varca la transenna, resta il tempo di ben DUE SECONDI girato verso il suo idolo a grandezza naturale, invece di fissare l’obiettivo del fotografo. Mi abbasso, senza dar fastidio alcuno, scivolo sotto la corda e da davanti, chiedo a mio figlio di girarsi. Il fotografo comincia ad urlare “Muoviti! Non siamo mica tutti qui ad aspettare te” Mio figlio si gira, ma non abbastanza secondo il “professionista”. Gli chiedo “Per favore, anche se non è proprio dritto, gli faccia lo stesso la foto…” “Ma io non ho mica tempo da perdere sa? Lo porti via! Vattene! Avanti un altro, vattene!” Un bambino a lato urla “Oh, mi sa che quello è scemo” e il vostro Omino del Computer, ridendo “Eh, si! Vattene biondino, non puoi star qui a vita!” Mio figlio, che non è SCEMO, non parla ma capisce tutto, sentendosi urlare dal fotografo, da quello che digitalizzava le immagini e dalla claque che questi due individui hanno sollevato ed aizzato, si mette a piangere, deriso ancora dal fotografo che lo fa scendere dal piedistallo di fortuna che avete improvvisato davanti alla macchina, facendolo pure inciampare. A nulla valgono le imbarazzate scuse della guardia giurata,che poco prima aveva tranquillamente familiarizzato con mio figlio. L’umiliazione che è stata data dai Vostri incaricati, che avrebbero dovuto lavorare con i bambini, a un piccolo di quattro anni che ha la sfortuna di avere una sindrome che poco gli fa avere contatto visivo con il resto del mondo e non lo fa parlare, è stata una cosa lacerante. In lacrime, con il torace scosso dai singhiozzi, umiliato, deriso, leso nella propria dignità di bambino non neurotipico. Una signorina, con la Vostra tshirt, mi si è avvicinata per chiedermi cosa fosse successo. Alla mia spiegazione, dopo averle detto che il piccolo aveva una sindrome autistica, mi ha detto “Ma se non è normale non lo deve portare in mezzo alla gente“.

Son stata talmente male da non riuscire a reagire, ho dovuto uscire all’aria aperta, con il bambino piangente, per prendere fiato dopo tanta umiliazione.

Ho pianto. Dal dolore.

Questo è l’articolo 2 comma 4 della legge 67 del 1 Marzo 2006, a tutela dei soggetti portatori di handicap:

-Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti.

Vorrei sapere come intendete agire, se con una scrollata di spalle come i Vostri dipendenti, di fronte a un trauma che avete fatto subire ad un bambino che già dalla vita è messo ogni giorno a dura prova.

Manderò questa mail in copia alla segreteria dell’onorevole Carfagna, e alla redazione di Striscia la Notizia, oltre a pubblicarla sul mio sito personale.

Tacere non ha senso, e ancora minor senso hanno le umiliazione che io e mio figlio abbiamo subito oggi.

Sotto il link del blog dove potete vedere l'articolo originale:
http://blackcat.bloggy.biz/archive/3280.html


Che mondo di merda! Facciamo davvero qualcosa noi per primi per cambiarlo!

mercoledì 10 settembre 2008

Il Bunker

Nell'era di internet, dei videogiochi, della Playstation, dei cartoni animati che NON sono più quelli di una volta, dei telefonini, dei video su youtube e tanto, tanto altro, mi sono accorto che alla fine, forse, non è poi cambiato granchè.
Sono cresciuto quasi dentro una campana di vetro. Fino all'età di 13 anni era VIETATO uscire dal mio condominio.
Come me anche tutti gli altri bambini dovevano attenersi alla stessa regola. E forse anche per questo, una volta usciti, abbiamo ripetutamente sbattuto il muso con quella realtà, che molti chiamano semplicemente LA STRADA, a cui non eravamo abituati.
Dove abito io c'è un grande giardino che abbraccia le tre palazzine del comprensorio. Lì, fra quelle lingue di verde e di asfalto, bianche ringhiere ci separavano dalla strada. Lì abbiamo giocato a tennis, calcio, moscacieca, biglie, nascondino, lo schiaffo del soldato, salta cavallo. Una volta abbiamo anche "simulato" un'olimpiade. Abbiamo costruito varie capanne dove rifugiarci quando il sole picchiava troppo forte sulle nostre teste. Siamo saliti sugli alberi di gelsi per raccogliere i frutti più maturi. E ci siamo incantati troppe volte a guardare il sole tramontare verso il mare. Ammaliati da quei colori così vivi.
Si, insomma, cercavamo di arrangiarci con quello che avevamo. Eppure la cosa che ci aveva sempre intrigato era una costruzione militare che dista 5 metri dalla ringhiera del giardino. Si, un bunker risalente la seconda guerra mondiale che domina la campagna che lambisce la ferrovia Roma-Lido. Per noi era semplicemente il bunker.
Allora rappresentava tutto ciò che ci era nascosto. L'ignoto al di fuori del giardino. Forse un mezzo per entrare nel mondo dei grandi.
Il bunker era sempre frequentato da ragazzi molto più grandi di noi. Era un ritrovo. Li vedevamo fumare, ridere, sfottersi, bestemmiare, sputare, drogarsi, fare l'amore.
E così quando fummo finalmente liberi di conoscere tutto ciò che c'era fuori, il primo luogo che visitammo fu proprio il bunker.
Non un granchè deve dire. Eppure entrarci, leggere le immacabili scritte, fiutare l'odore di quel posto ci dava i brividi. Forse una sensazione che sento ancora oggi al ricordo.
Gli anni passano e gli interessi cambiano. E siccome non c'è stato ricambio generazionale nè nella zona dove abito, nè nel condominio di casa, il giardino, la strada e il bunker sono rimasti deserti per molti anni.
Deserti...disertati dai quei rompicoglioni che sono i ragazzi dagli 8 ai 15-16 anni.
Da un pò di tempo però la tendenza si è invertita. E tutto, come se fosse passata la stagione invernale, ha cominciato a popolarsi di nuovo. Come se d'improvviso la primavera fosse scoppiata.
La scorsa domenica ero intento nei miei allenamenti (corsa, sbarra, salto con la corda...)quando da fuori il giardino sento delle voci. Lì per lì non ci faccio caso e continuo l'allenamento. Poi d'improvviso le voci sono diventate sempre più forti e allora avvicinatomi alla ringhiera...eccoli lì. Un gruppeto di una quindicina di ragazzetti/bambini che fumavano, parlavano, scherzavano, ridevano, perculavano, sputavano e facevano i gradassi davanti alle poche ragazze che si erano unite alla compagnia.
Certo, noi non avevamo tutti quei vestiti firmati, non avevamo i jeans sotto il culo, non avevamo i capelli piastrati e non avevamo l'ultimo modello di telefonino...ma sempre affascinati da quel luogo eravamo. E quel luogo, per noi come per loro, ha sempre incarnato quella voglia di libertà che da che mondo è mondo morde le chiappe a chi si appresta a diventare adulto. Senza fretta, però!